• 19 April 2024
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Gianni Cuperlo, se lo ricorda Nanni Moretti e quel suo “mi si nota di più se vado o non vado?”. Ecco, sciogliamo il dubbio una buona volta, lei si candida o no al congresso del Pd?

Ci ho riflettuto, so benissimo che ci sono due candidature favorite, ma è un congresso talmente importante che nella prima fase, quella dove a votare saranno gli iscritti, chi ha delle idee sul dopo credo abbia persino il dovere di esporle e discuterle. Lo penso perché chiunque vinca avrà bisogno di un confronto vero e di una partecipazione larga almeno se vogliamo capire perché in quindici anni abbiamo perso sei milioni di voti.

Vasto programma, comunque che abbia aspettato lo sappiamo, la domanda è: cosa ha deciso?
Se seguissi la razionalità non dovrei farlo anche perché so che alle spalle non ho potentati, a volte però prevalgono i sentimenti e questa prova credo giusto affrontarla. 
Il cuore ha ragioni che la ragione non può comprendere, diceva qualcuno. Dunque si candida. Ma non pensa di arrivare buon ultimo quando i giochi sono già fatti e gli eserciti arruolati?
So che diversi pensano sia una follia, altri invece credono vi sia una ragione più forte di qualunque timore su quale potrà essere il risultato.
E qual è?
L’incubo di una deriva greca come per il Pasok o francese con la tradizione socialista precipitata nell’irrilevanza.
Lei pensa che la crisi del Pd sia così grave che è rischio scomparsa. Andiamo al cuore della crisi.
Penso che da una crisi tanto profonda e che non riguarda solo le ultime elezioni o sondaggi allarmanti ma la nostra reputazione nel rapporto col paese si esce solo col coraggio di una discussione sincera, aspra se necessaria, ma che affronti la radice dei nostri limiti e indichi la via per superarli.

Bene, una crisi chiama in causa la responsabilità di tutti. Vedo diversi marziani in giro. Chi ha avuto incarichi di responsabilità in questi quindici anni ora dice che il Pd è nato male, chi denuncia la questione morale la scopre oggi, quelli che ci spiegavano la terza via ora e sono stati sempre al governo fanno gli anticapitalisti. È un marziano anche lei o, nel presentare la candidatura, vuole fare una assunzione di responsabilità?
Nessuno di noi può alzarsi e dire non c’ero, poi è vero che le responsabilità sono state diverse e che alcune illuminazioni improvvise pongono qualche interrogativo. Per dire, a me è capitato di contrastare alcune scelte di Renzi quando era all’apice del potere, ma ne ho anche riconosciuto l’abilità mentre vedo qualche disinvoltura nel raccontarsi come arrivati ieri. 
Parliamoci con franchezza, per ora il tasso di funzione e di ipocrisia nella discussione congressuale è alto. “Il problema è l’identità”, “serve una rigenerazione”, eccetera: tutte chiacchiere che alimentano il gioco correntizio.

Possiamo dire che sta fallendo anche il congresso?
Lo riterrei un danno e se ho scelto di partecipare è perché vorrei dare una mano a evitarlo. Penso che la parola costituente sia seria e non la si risolve in due mesi, per questo la mia opinione è che la prossima leadership dovrebbe scegliere di proseguire quel processo per farlo vivere nell’opposizione alla destra e nella società.
Si parla tanto del Manifesto dei valori. Per lei va cambiato tout court o la vocazione di fondo, l’idea maggioritaria di parlare al paese resta valida?
Il Pd non dev’essere rifondato nei valori che restano gli stessi di quando è nato. Casomai non li abbiamo sempre praticati! Oggi a noi serve comprendere che la destra estrema vince sulla base di una precisa ideologia, ma se è così il nostro compito è costruire l’alternativa sapendo che la sfida è culturale, sociale, anche di idealità e chiederà un passo lungo. 
Parla di “passo” e intende quel vecchio modo di riferirsi a pensieri lunghi, però prima c’è un problema di gambe che dovrebbero compiere il passo. Ne vedo parecchie zoppe, usurate da diversi cammini. Le devo ricordare i governi che il Pd ha fatto con tutti?
Abbiamo promosso la responsabilità a fine ultimo, ma così in qualche modo abbiamo ferito la promessa rivolta a una parte del nostro mondo. Quei valori vanno vissuti e interpretati nella lettura del tempo e in una visione del mondo per come si è stravolto in questi anni. Parlo di conflitti aperti e irrisolti, dei concetti di libertà e fraternità da coltivare come prima forma di contrasto a disuguaglianze indecenti. Parlo dei principi della democrazia oggi sotto attacco non solo a opera di dittature, autocrazie e teocrazie, ma fino dentro il cuore dell’Europa politica e dell’America del dopo Trump.

Cuperlo, il governismo. Ri-cito Moretti: “Con questi dirigenti non vinceremo mai”. È d’accordo?
In questi anni abbiamo anche vinto. Casomai abbiamo pensato che il successo dei sindaci, da Napoli a Torino passando per Roma, Bologna o Milano, bastasse a superare una destra che candidava nelle città figure improbabili e intanto macinava consenso sull’impoverimento della classe media. Oggi penso alla campagna per le regionali in Lombardia dove Majorino combatte a Milano, ma sa benissimo che la sfida è recuperare fiducia e consensi nelle valli come nei piccoli centri. 

Torniamo allo spettro dei socialisti in Francia? Ora non faccia il diplomatico, e mi dica perché con i suoi competitor lo spettro non si allontana.
Nessuna diplomazia, semplicemente credo che nessuno da solo o da sola possieda le risorse per mettere in sicurezza quel nuovo Pd che rimane il pilastro di un’alternativa tutta da costruire e allora insisto, anche se con anni di ritardo penso che fare quella discussione in uno spirito di verità e con un confronto senza sconti sia un bene per tutti. 
Con franchezza: pensa che se vince l’uno dei due principali l’altro se ne va? Che non sta più assieme il Pd?
Quella sarebbe l’ennesima sconfitta e per parte mia farò di tutto per evitarlo. 
Quanto pesa l’ombra di Renzi su Bonaccini?
Credo quanto quella di Peter Pan.
Cioè?
Davvero poco. Stefano ha sostenuto quella politica, io non l’ho fatto, ma la sua storia non ha bisogno di padronaggi. 
Quanto pesa il condizionamento delle correnti sulla Schlein?
Dopo qualche anno lei è appena rientrata nel Pd con una decisione che ho apprezzato e mi ha fatto piacere. Spero sappia giudicare e scegliere i compagni di strada.  
E lei? Non è che è il solito gioco: ci si candida per contarsi e fare una corrente? Mi dia il titolo, la parola d’ordine della sua candidatura.
Se la regia fosse di Spielberg il titolo sarebbe “Salvate il soldato Pd”, ma preferisco la sintesi del “tornare a pensare, tornare nelle strade e piazze”. E per rinnovarli quel pensiero e quella pratica servono molti affluenti.

Fuori dalla metafora?
Fuori dalla metafora vuol dire che se anche una sola delle culture che hanno dato vita al Partito Democratico – dalla sinistra storica al cattolicesimo democratico, dall’ambientalismo al pensiero femminista fino alla causa dei diritti – dovesse abbandonare il sentiero aperto da Prodi e Veltroni semplicemente il Pd finirebbe di esistere. A quel punto qualcuno potrebbe applaudire al “ritorno alle vecchie case” come fosse possibile rimettere le lancette indietro di vent’anni. Personalmente la riterrei una sconfitta dell’intuizione più coraggiosa che la sinistra e i riformisti hanno avuto nell’ultimo mezzo secolo di storia italiana ed europea.

Potrei dirle che anche in questo arriva tardi visto che solo lunedì scorso Pierluigi Castagnetti ha riunito ciò che resta della tradizione dei popolari per dire che se le cose stanno come stanno quella parte potrebbe anche andarsene.
Sono andato a quell’incontro per ascoltare e capire. Le parole di Castagnetti e la discussione hanno posto questioni importanti a partire da cosa un nuovo Pd e la sinistra vorranno essere nei prossimi anni, ma per questo le radici sono indispensabili al futuro.  

Un partito che non viva solo dentro le aule del parlamento, i consigli regionali e comunali, tutte cose fondamentali, ma il primo anticorpo per una politica vissuta e trasparente, per quel “fare democrazia” di cui parlava Salvatore Veca, è che fuori da lì un partito come il nostro sappia ascoltare, dare voce e potere a migliaia di donne e uomini che non chiedono un posto in lista, ma una speranza di riscatto materiale e di senso.
Scusi, ma perché tutte queste buone intenzioni non le porta a sostegno di una delle candidature più forti, Bonaccini o la Schlein? Che cos’hanno che non la convince?
La domanda non è cosa non mi convince, ma torno a dirlo, siamo a un bivio e vorrei che ognuno portasse le idee che ha. Lo vivo quasi come un dovere. E vorrei partecipare per dire che al Pd e alla sinistra serve finalmente un segretario o una segretaria che si dedichi unicamente a salvare e rilanciare l’unica speranza di arginare la destra nella società oltre che nel Palazzo. Vorrei che lo facesse senza nessun’altro traguardo che non sia ricostruire una comunità oggi scossa, disorientata, e che lo facesse fuori da logiche di fazione con la voglia di formare e selezionare gruppi dirigenti dotati di autonomia e senso critico.

Che, se ho capito, il voto nei circoli – quello della prima fase – dovrebbe avvenire nei primi due fine settimana di febbraio, a ridosso del voto in Lazio e Lombardia e nella domenica stessa delle elezioni. Parliamo di due regioni importanti con quindici milioni di persone dove giustamente l’impegno di circoli e militanti sarà per far vincere Pierfrancesco Majorino e Alessio D’Amato. 

Cuperlo, lei è troppo navigato per non vedere che tutte le correnti del Pd hanno già scelto dove stare. Base Riformista sostiene Bonaccini. La Schlein raccoglie il consenso di Franceschini e Bettini, e forse pure Orlando. Siamo all’antivigilia di Natale, posso dirle con tutta la simpatia che lei mi pare uno che sta per festeggiare senza neanche un panettone in casa?

Sarò pure navigato come dice lei, ma temo di essere un ingenuo. Sono sempre rimasto in questo partito e mi sono battuto anche quando non è stato semplice rimanervi. Come altri ho vissuto scissioni e uscite come ferite da ricucire e al fondo credo in una politica fatta anche di qualche coerenza. Se scelgo di partecipare non è per “disturbare” altri e chiunque guiderà il Pd domani avrà il mio sostegno. Ma sento che questo passaggio peserà sul nostro futuro più di altri momenti e che per questo prendere parola, dire cosa servirebbe per raddrizzare la rotta, sia prima di tutto un segno di lealtà verso la comunità di cui si è parte. 

Può darsi, ma in tutto questo l’opposizione non si è vista granché. Anzi, è la polizza a vita della Meloni.
No, non è così. Il Pd in commissione Bilancio ha fatto una battaglia incisiva bloccando norme indecenti a partire dallo scudo penale per gli evasori. È chiaro che l’opposizione più forte a questa destra sarà quella capace di saldare il contrasto nelle aule parlamentari a una alternativa che cresca fuori da lì, tra precari, donne, giovani, pensionati ricattati dall’inflazione. Ma questo è il compito dei prossimi mesi e anni e più saremo uniti nel farlo prima chiuderemo la pessima pagina aperta con la sconfitta del 25 settembre.

Da Huffington Post Alessandro De Angelis

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