• 13 May 2024
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La situazione del mondo si è fatta gravissima. “E ora chi ci salverà?”, mi chiede Antonio Padellaro
dalle colonne del Fatto, meditando sulla situazione e riflettendo sul ruolo del Pontefice. Le sue
parole – che invito i lettori a meditare – dipingono un quadro che mi ricorda Guernica di Picasso.
Ma è lo stesso Francesco che – mentre il chiacchiericcio clericale si impunta sul significato della
benedizione divina proprio quando ne avremmo tutti più bisogno – scrive un’Esortazione apostolica
che sembra un ultimo appello prima della catastrofe, anzi un grido più che un appello. I toni
diplomatici tradiscono la percezione che siamo a un punto di non ritorno: “Il mondo si sta
sgretolando”. Le immagini hanno un acre sapore apocalittico. Il titolo gioioso dell’Esortazione
Laudate Deum rende le sue parole ancora più tragiche, un vero ossimoro, come la disperazione di
un clown che annuncia il disastro tra le risate generali.

Di recente sono stato a Roubaix, nel nord della Francia, a visitare una mostra dal titolo Chagall
politico, a mio avviso straordinaria. Finalmente ho potuto ammirare La Commedia dell’arte, opera
monumentale commissionata all’artista per il foyer del Teatro di Francoforte dopo la tragedia della
Seconda guerra mondiale. Rappresenta una pista da circo, che per Chagall – pittore tra i più amati
da Bergoglio – è specchio del suo tempo. Sulla tela, acrobati, giocolieri e musicisti, trapezisti e
scudieri si avvicendano su una pista colorata, distillando un’atmosfera gioiosa. Al centro, una figura
zoomorfa di violoncellista si affaccia su un gallo rosso con l’occhio spalancato, l’unico a guardare
lo spettatore interpellandolo. Questo mondo apparentemente incantato nasconde un universo
metaforico e simbolico nel quale la risata si mescola alle lacrime. Chagall associa il mondo dei
saltimbanchi al tragico dell’esistenza, e la distruzione e i genocidi sfociano nell’oscuro carnevale
dell’umanità.

Francesco è come il gallo rosso di Chagall con l’occhio spalancato – l’unico a guardare lo spettatore
e a sfidarlo – che simboleggia la lucidità e la chiaroveggenza. La sua voce oggi si fa appello
durissimo, tra i più duri del suo pontificato. Il Pontefice ha preso sul serio più di chiunque altro le
parole dimenticate del Concilio Vaticano II che definiva il nostro tempo come un semplice fase di
“tregua di cui ora godiamo e che è stata a noi concessa dall’alto, per prendere maggiormente
coscienza della nostra responsabilità e trovare delle vie per comporre in maniera più degna
dell’uomo le nostre controversie” (Gaudium et Spes, n. 81). Una tregua, non una pace!

L’occhio di Francesco sulla realtà di questo mondo è ben aperto: sa che il peggio del Novecento sta
tornando.
E sono le scelte degli uomini a dare forma al futuro. Il Papa è ateo rispetto a un pagano
“Deus ex machina” che risolve il problema degli uomini con una trovata geniale o con un colpo di
spugna o una piroetta. Conosce le dinamiche perverse della politica internazionale che ha rinunciato
ad affrontare le questioni in modo multilaterale: lo ha scritto in tutti i suoi documenti più ufficiali.
Per questo la sua diplomazia cuce sempre e mai vuole tagliare. Per questo vuole ragionare tenendo
tutti insieme, i “buoni” e i “cattivi”. Per questo la diplomazia vaticana è infaticabile nei suoi canali
ufficiali e non ufficiali. Essa sa che senza una visione globale sul bene comune – così tipica del
cattolicesimo, tra l’altro – la politica internazionale, saldamente ancorata agli interessi economici,
produce scarti, e lo scarto produce conflitto.

E sa, Francesco, che il vero problema dell’implosione dell’ordine mondiale – che presto si
confronterà con elezioni nazionali cruciali che potranno cambiare il panorama globale – è che non
abbiamo neanche le parole per balbettarne un altro. Stiamo perdendo il logos della scienza politica
mentre il male assume i tratti della metafisica lasciandoci afoni, capaci solo di registrare le
carneficine di una “inutile strage”. Ma i conflitti stessi sembrano senza una vera e propria strategia,
e le possibili vittorie non sono orientate da chiare e praticabili idee di futuro. Quali sarebbero nel
caso dell’Ucraina e del Medioriente, ad esempio?

La tragedia è che ancora si crede che le guerre possano risolvere i problemi. Oltre che una
stupidaggine, questa è una decisione libera degli uomini e degli Stati, incluse le democrazie.
Sempre il Concilio ammoniva: “Non sappiamo dove ci condurrà la strada perversa per la quale ci
siamo incamminati”. Il Papa lo ha ripetuto ricevendo in udienza il Corpo diplomatico accreditato
presso la Santa Sede lunedì 8 gennaio, delineando l’atlante dei conflitti che vanno
“incancrenendosi”.

L’ho detto già altre volte, caro Padellaro: la figura petrina di Francesco – in questa fase così lucida
ed estrema del suo pontificato – è sovrapposta a quella francescana di folle moderato e ribelle
paziente pasoliniano, di idiota dostoevskiano, di matto felliniano. Il suo è un appello alla nostra
libertà. Le decisioni sono nostre. A volte la sua voce grida nel deserto, ma certamente si fa sentire,
anche da chi sembra non ascoltarla: è rimasta l’unica di un leader morale globale che, col Vangelo
in mano, lotta per il futuro in un contesto nel quale il diritto internazionale, bellico, umanitario
sembra non esistere più.

Caro Padellaro, il Papa grida: sta a noi sentirlo
di Antonio Spadaro
in “il Fatto Quotidiano” del 9 gennaio 2024

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