E’ passato più di un mese dalle elezioni del 25 settembre: in questi giorni è stato possibile farci un’idea più chiara sia dei primi passi del nuovo Governo, sia delle decisioni del nostro Partito dopo il risultato delle elezioni.
Per quanto riguarda il nuovo Governo (dalla scelta dei ministri, fino alla proposta di “condonare” le cartelle esattoriali e alzare il tetto al contante), c’è da dire che non possiamo stupirci: è un governo di destra che fa cose di destra, sia nell’approccio che nelle politiche.
Per quanto riguarda il nostro partito, il discorso è invece più lungo: siamo chiamati a un’opposizione ferma e credibile, ma mi pare che il percorso congressuale nel quale ci siamo imbarcati ci abbia per il momento anestetizzati. Siamo ancora fermi al 25 settembre e al risultato, deludente, che abbiamo ottenuto. Anzi, in un certo senso siamo fermi al 2018: sia per la percentuale, sia per le rinnovate discussioni su cosa si debba fare per “rivoluzionare il nostro Partito”. Su questo – proprio perché ho già detto tutto allora, ed oggi le cose sono ancora allo stesso punto – non credo sia il caso di aggiungere nulla… se non l’amara constatazione che abbiamo perso tempo (4 anni) a far finta che non ci fosse nulla da cambiare, e che il risultato deludente fosse solo colpa ed esclusivamente colpa di Renzi e non, invece, qualcosa di più vasto e profondo.
Certo, a queste elezioni la strada non era semplice: l’obiettivo strategico di vincere le elezioni era francamente fuori portata: i sondaggi li conoscevamo tutti, grossomodo ci era chiaro come funzionasse la legge elettorale, e il richiamo al “voto utile” ha convinto soltanto pochi elettori. L’esito è stato però purtroppo peggiore delle previsioni (all’inizio della campagna elettorale partivamo col 24% nei sondaggi, e siamo arrivati al 19% nei voti reali): per altro, gli accordi stretti con altre forze più piccole ci hanno danneggiato più di quanto non ci abbiano aiutato. Basti pensare che diversi seggi “sicuri” nell’uninominale sono stati regalati ai vari leader alleati o a indipendenti, tanto che alla fine i parlamentari “nostri” (inteso come del PD) sono stati meno di quelli che avremmo potuto avere, ad esempio, scegliendo di correre da soli. È chiaro che diverse scelte non sono state all’altezza della situazione; anche dal punto di vista tattico – svanito l’obiettivo di vincere le elezioni – è parso che ad un certo punto si volesse consolidare una sorte di “morte politica” sia per i Cinque Stelle che per Renzi. Abbiamo invece facilitato un loro risultato sopra le aspettative, a scapito dei nostri voti, evitando di attaccare i grillini sulle loro incongruenze enormi e portando Calenda ad abbracciare Italia Viva, permettendole di superare agevolmente una soglia di sbarramento altrimenti estremamente sfidante.
Credo che buona parte di questi problemi nascano da quello che è oggi il nostro partito, dal suo modo di (non) prendere posizioni nette e radicali quando serve, dal suo parlare con mille voci leggermente differenti. La scelta di avviare il percorso congressuale era doverosa, ma insieme a molti altri mi chiedo come sia possibile attendere sei mesi per avere un nuovo segretario, mentre la politica fa balzi enormi di giorno in giorno e Cinque Stelle e Azione-Italia Viva hanno da tempo avviato una operazione per attrarre a loro nostri elettori.
Tutto questo, per di più, in un contesto dove probabilmente già a febbraio avremo delle elezioni regionali importantissime: finalmente saranno sganciate dalle elezioni nazionali e per altro il centrodestra mostra enormi crepe al suo interno. Le condizioni sulla carta sono ottimali… ma saremo in grado di coglierle? I prossimi mesi, da questo punto di vista, saranno determinanti.
Per questo motivo invito tutti voi all’assemblea che si terrà questo sabato, 5 novembre, alle ore 17: i temi sui quali confrontarci sono molti e c’è bisogno di tutti i punti di vista e le opinioni possibili. Ti aspettiamo!
Federico Gusmeroli