Dopo l’incontro di venerdì 10 marzo scorso in Sala Don Ticozzi a Lecco, nel quale la presentazione del libro di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli Inverno liquido ha offerto lo spunto per un dibattito sul futuro del turismo invernale sulle montagne lecchesi, e dopo le manifestazioni legate alla mobilitazione diffusa di “ReImagine Winter” contro la costruzione di nuovi impianti sciistici, leggo oggi sulla stampa locale le repliche del sindaco di Moggio Andrea Corti, specificatamente mirate al caso dei Piani di Artavaggio, e di Giacomo Vergani, presidente della neonata associazione “Arta” la quale si pone in evidente sintonia con l’operato dell’amministrazione comunale in carica.
Repliche assolutamente legittime e significative, che rispetto senza remore e la cui pubblica espressione è assolutamente da difendere, anche per come consentano di analizzare e giudicare le idee in merito ai territori montani in questione che vi stanno alla base.
Innanzi tutto, quando il sindaco afferma che «Il cambiamento climatico lo conosciamo tutti» ma continua a proporre un’infrastruttura turistica legata a doppio filo all’andamento del clima, pone inevitabilmente in essere un controsenso che è ben difficile da non considerare, non tanto e non solo per la prospettata seggiovia in sé ma soprattutto per il fatto che verrà finanziata da soldi pubblici: una spesa con denaro di tutti che viene soggetta a variabili incontrollabili – ma prevedibili, come fanno al riguardo innumerevoli report climatici – che la mettono a rischio di perdita, senza avere la certezza che la vendita degli skipass (altra variabile, a ben vedere) possa nel caso coprirne le spese – salvo il ricorso a ulteriori coperture “istituzionali”, dunque sempre soldi pubblici.
Non si può non considerare che il finanziamento di un progetto del genere, pur legittimo che possa essere, non può esimersi dal valutarne il successivo ammortamento, in termini di sostenibilità finanziaria e gestionale: se l’impianto non lavora per mancanza di neve e del clima adatto, non è per il fatto che sia già stato formalmente pagato che non genera una spesa di fermo macchina, come chiunque gestisca impianti d’ogni sorta sa bene, cioè la mancanza di ricadute positive su chi ne potrebbe beneficiarne. Evitare di considerare tali rischi è cosa quanto meno azzardata, e non può essere giustificata dal fatto che «Chi è presidio della montagna deve aver qualcosa di cui vivere»: affermazione verissima, e dunque perché incatenare l’intera economia di una località ad un’attività che al massimo porterà tornaconti per due mesi all’anno o poco più e sempre che il clima lo consenta? Se nevica sempre meno e «quando non nevica le persone sono molte meno», come sostiene il sindaco Corti, perché non pensare a e progettare una frequentazione del luogo finalmente svincolata dallo sci (alpino) e dai suoi rischi e sviluppata lungo l’intero arco dell’anno?
Corti sostiene che non vengano proposte alternative a quelle sciistiche: a parte che non si è mai manifestato il contesto pubblico e ufficiale per proporle in maniera determinata e compiuta e che ciò, nuovamente, non giustifica la costruzione di una seggiovia, mi viene da ribattere che la prima alternativa ce l’ha e ce l’abbiamo tutti quanti sotto i piedi: è la montagna di Artavaggio, la sua bellezza, le sue peculiarità naturalistiche, ambientali e paesaggistiche. Un patrimonio inestimabile grazie al quale si possono costruire innumerevoli proposte di sviluppo turistico sostenibile e consono al luogo: attraverso un marketing mirato a tale scopo, a collaborazioni con le sezioni CAI e con altri soggetti similari per eventi in quota oltre che con team di guide e accompagnatori con i quali strutturare un calendario di escursioni lungo la rete sentieristica dei Piani e dei dintorni, a progetti in ambito culturale sulla conoscenza del territorio e relativo calendario di eventi, corsi naturalistici, offerta del luogo per convegni associazionistici attraverso un pacchetto a ciò mirato e funzionale, partnerships con enti e fondazioni culturali, centri di ricerca, università (Artavaggio è intrisa di storia della frequentazione umana dei monti, di quelli prealpini dell’area lombardo-padana nello specifico, oltre a essere parte del territorio d’origine primigenia dei Bergamini e della loro cultura), eccetera.
Senza contare la possibilità, che io vedrei come necessità, di (ri)attivare con adeguati sostegni pubblici economie locali di matrice circolare, perché è bene denotare, come fanno da decenni numerosi report economico-scientifici, che la montagna meramente assoggettata all’economia turistica è una devianza, non una virtù: tale lo è stato per certi aspetti fino a qualche decennio fa nella realtà di allora, ora non lo è più perché quel mondo non c’è più – negli anni Novanta la Artavaggio sciistica non chiuse per il capriccio di qualcuno, ma per la realtà oggettiva venutasi a creare. Il turismo è una risorsa fondamentale, nessuno lo mette in dubbio, ma non può diventare l’unica forma di sostentamento oltre che di socialità delle montagne, come se le comunità residenti non fossero in grado di fare altro – e purtroppo sono spesso state messe in tale situazione dalla turistificazione insensata delle rispettive località, con i risultati che si possono constatare un po’ ovunque sulle montagne italiane (molti dei quali raccontati proprio nel libro Inverno liquido). Insomma, di alternative ce ne possono essere a iosa e se ne possono realizzare altrettante, totalmente consone al luogo, alle sue peculiarità e alle sue potenzialità: basta avere la volontà di farlo e sostenere la loro progettazione e realizzazione con adeguati finanziamenti. Certo è qualcosa di più difficile da mettere in atto che avere dei soldi pubblici da spendere alla svelta, pronti via et voilà, una bella seggiovia! Soluzione copia-incolla, facile, semplice, anzi semplicistica dunque rischiosa, probabilmente decontestuale e potenzialmente fallimentare. Non esattamente una meditata e efficace progettazione territoriale a lungo termine e dotata di visione complessiva delle potenzialità e delle esigenze del luogo, come le pregiate tanto quanto delicate montagne richiederebbero… ma può ben essere che mi sbagli.
Può ben essere che non si sbagli nemmeno Giacomo Vergani, il presidente dell’Arta giunta a dare man forte alle iniziative comunali, con i numeri dei passaggi in funivia che, a suo dire, sarebbe determinati dagli sciatori. Opinione sostenuta anche dal sindaco Corti durante la serata del 10 marzo a Lecco ottenendo diffusi mormorii dai presenti in sala: inevitabili, come si volesse sostenere che ad Artavaggio ci salgano quasi soltanto gli sciatori, cosa smentita dall’esperienza diretta di chiunque ci sia salito, ai Piani, negli ultimi anni. E allora di chi e cosa vivrebbero i rifugi in quota lontani dai campi di sci e dai tapis roulant (e idem quelli sotto, se in mancanza di neve la gente non ci sale)? Io stesso devo aver avuto le traveggole tutte le volte che sono salito ai Piani a camminare o a praticare scialpinismo (la Cima di Piazzo, una ski-alp classicissima delle nostre zone o il Sodadura, per quelli più capaci) per poi faticare a trovare un posto per il pranzo al Rifugio Nicola o al Cazzaniga-Merlini!
Ma può essere, per carità, non possiedo affatto verità assolute: e in tal senso mi fa piacere che nemmeno il sindaco Corti o il presidente Vergani le posseggano, visto che l’uno parla di «una piccola seggiovia al servizio del campo scuola in sostituzione dei vetusti tapis roulant» mentre l’altro dice che la seggiovia «servirebbe anche nell’ottica di destagionalizzazione per escursionisti e ciclisti»… ma se è una “piccola seggiovia”, che se ne fanno escursionisti e ciclisti? Qualcosa non mi è chiaro, e non lo è nemmeno riguardo l’innevamento artificiale, visto che il sindaco Corti a Lecco il 10 marzo ha affermato che la seggiovia vivrebbe delle precipitazioni naturali – più o meno ha sostenuto questo, i presenti in sala lo ricorderanno – mentre Vergani ritiene «importante poter ricorrere alla neve artificiale», cosa peraltro sostenuta dallo stesso sindaco in altri interventi passati sulla stampa. Dunque? Chi dice il vero e chi no?
D’altro canto, se le proposte previste dal comune e sostenute dall’Arta vengono ritenute tanto importanti e necessarie, perché non sostenerle economicamente attraverso un consono piano di project financing tra pubblico e privato, come proposto in località e circostanze similari, che da un lato porterebbe a un risparmio di spesa pubblica e dall’altro renderebbe ben più partecipi i soggetti economici e i portatori d’interesse coinvolti, oltre a rappresentare un investimento significativo sul luogo e una manifestazione di fiducia emblematica verso i soggetti stessi?
Mi fermo qui, scusandomi molto per l’eccessiva prolissità. Potrei andare avanti ancora a lungo ma diventerei noioso e peraltro non voglio polemizzare troppo con il sindaco Corti e il presidente Vergani, dei quali rispetto il legittimo operato ben sapendo che è la loro volontà quella che alla fine conta e maneggia il pallino decisionale, anche di fronte a eventuali palesi incongruenze e illogicità. Tuttavia restano fermi i rischi notevolissimi generati dalle progettualità proposte in relazione alla realtà di fatto del luogo e, in generale, a quella economica e climatica che stiamo vivendo tutti quanti, rischi che, personalmente, non posso non mettere in luce. Ugualmente fermo restando quanto sopra, ribadisco, e sperando che il confronto avviato lo scorso 10 marzo in Sala Don Ticozzi non resti un caso isolato ma possa svilupparsi nel tempo e diventare strutturale rispetto a tutti i potenziali portatori d’interesse coinvolti nella realtà dei nostri territori montani. Che sono un inestimabile e necessario patrimonio di tutti, è bene ricordarlo, che non possiamo permetterci di deteriorare in alcun modo: perché è come se deteriorassimo noi stessi, inevitabilmente.
Luca Rota
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