• 23 April 2024
0 Comments

Ho un debito di riconoscenza verso Lorenzo Milani.
Frequentavo negli anni 60, l’università Urbaniana a Roma e dei compagni mi avevano parlato di questo prete, perso nei monti, che faceva scuola a tempo pieno, mangiava con i ragazzi, li tirava su come figli e che, malato di cancro, buttava fuori dalla sua scuola tutti quelli che facevano del turismo sociale.
Tra le nostre mani passava un suo libro “proibito”, Esperienze pastorali. Non riuscivo a capire il perché della proibizione. Anche noi facevamo piccole storie di vita in modo particolare con la gente di Primavalle.
Nel 1966 sono stato ordinato prete e mandato da Roma a Lierna; da una città ad un piccolo paese sul lago di Como. Non sono stato fermo e ho cominciato a tessere contatti scrivendo una ragnatela di nomi di luoghi, di persone e di appuntamenti.

Nel piccolo libro/oggetto che la comunità di via gaggio ha realizzato nell’ottobre del 2000 per ricordare i venticinque anni dell’associazione, ci sono due citazioni di don Lorenzo Milani riconosciute fondative del pensiero, dello sguardo e della prassi di “via gaggio”: la postilla al testamento di Milani, che ha la forza, l’essenzialità, la passione di una dichiarazione d’amore degna del Cantico dei Cantici: Ho voluto più bene a voi che a Dio (mettimi come sigillo sopra il tuo cuore). I ragazzi, Michele, Francuccio, gli altri, sono stati il sigillo; il sigillo indica dipendenza, appartenenza per sempre, è elemento di riconoscimento.
A Nadia Neri aveva scritto di getto: “quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura. È una promessa del Signore contenuta nella parabola delle pecorelle, nella meraviglia di coloro che scoprono sé stessi, dopo morti, amici e benefattori del Signore senza averlo nemmeno conosciuto”.
È un confine da brivido: Dio/Uomo, lì si sono intrecciate le nostre vite. Siamo ancora in questo stesso alveo.

Avevo confessato a me stesso, molti anni fa, che Lorenzo e Barbiana hanno prodotto in me una cesura, un taglio netto tra il prima e il dopo.
Il prima era costituito da un indefinito interesse alla realtà giovanile, il dopo è stata l’opzione della condivisione con le persone che la vita mi ha fatto incontrare.
Condividendo la vita, la preoccupazione è stata quella di aiutare le persone a prendere parola su di sé, a maturare contenuti autonomi e responsabili, a non vivere di paura, ad andare al nocciolo della coscienza e di sentire questa nella sua tremenda autonomia.
Prendere parola sulla vita è stato il principio ermeneutico che ha fatto maturare responsabilità. Più tardi, riprendendo in mano la Bibbia, mi sono accorto che il riferimento costante alla Parola profetica fa saltare tutte le strutture precostituite.

Le nostre case, come Barbiana, sono state abitate dalle domande: di senso, di desideri e sogni; da urla disperate per le violazioni subite; d’impegno/lotta per esistere di una dignità negata; da una convivialità quotidiana ricca di segni poveri.
Le nostre case, come Barbiana, sono deserto, periferia infinita. In esse abbiamo maturato un compito politico e spirituale: trasformare le periferie in frontiere, pensandole come luogo di incontri flessibili, di identità cercate, di fermentazioni possibili.
Nel muro della memoria alla Casa sul Pozzo è stato graffito il nome di Lorenzo Milani.

Siamo tornati alcune volte, pellegrini silenziosi, a Barbiana; la prima volta, da solo, pensavo che tutto fosse immerso nell’oblio; poi il registro nella cappella del cimitero mi ha raccontato come fino a qualche ora prima c’era stata gente a dialogare con lui. Mi ritornavano in mente le parole di Ernesto Balducci: “Milani è uno di quei maestri di fede che non ci richiamano al ricordo del passato, ma ci hanno dato appuntamento nel futuro”.
La gente, tutti noi, siamo affamati di presente/futuro.
Barbiana e Lorenzo non sono un mito da custodire o un modello da riprodurre o una appartenenza da dichiarare, ma un laboratorio di vita, dove tutti hanno una responsabilità creativa (ognuno è responsabile di tutto).
Mantenere viva questa memoria vuol dire dichiarare che c’è un quotidiano da reinventare; ci sono alfabeti da imparare per l’oggi e per il futuro, per tutelare i diritti delle persone. Per questo è indispensabile allenarci all’ascolto, alla severità e verità della parola; forse così avverrà il miracolo che Lorenzo diceva di sé negli ultimi giorni: il cammello è passato per la cruna dell’ago.

Abbiamo accolto nella Casa sul Pozzo e incontrati nelle loro abitazioni Francuccio Gesualdi, il fratello di Michele e Adele Corradi, la professoressa, in una serata straordinaria.

Cosa raccogliamo, custodiamo e vogliamo far crescere nella casa sul pozzo?
Da “non luogo” nella nostra città e senza nome ora ha un’identità – la casa sul pozzo – che ci aiuta a capire i luoghi del mondo da dove i giovani scappano alla ricerca di un’altra vita.
Per servire questi poveri bisogna rompere il muro di ignoranza che li emargina dalla vita civile e religiosa. Insegnare a comprendere la parola, sia quella sacra della Bibbia che quella laica delle Costituzioni (quella italiana e quella del Paese di provenienza) i contratti di lavoro; è “l’ottavo sacramento”.
Abitare una casa da persone che accolgono e si sentono costantemente accolte; collaborare come donne e uomini alla crescita delle nuove generazioni.
Una casa che educa alla legalità, dal pagare il biglietto del bus, all’opposizione alla violenza delle armi.
Portare i ragazzi alle pari condizioni di partenza, con il superamento dello scarto.
Sergio Mattarella ha detto: «Una scuola che seleziona, distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose». «Impossibile non cogliere la saggezza di questi pensieri. Era la sua pedagogia della libertà. Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto e per non far perdere all’Italia talenti preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito».
È sufficiente ricordare le parole di don Milani: “È più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare”.
Indirizzare i giovani verso cammini forti di fronte a una trasformazione epocale tumultuosa.
Papa Francesco nel suo pellegrinaggio a Barbiana nel 2017, ha detto di “risvegliare l’umano per aprirlo al divino”.
Francesco e Sergio Mattarella sono stati pellegrini a Barbiana. Per un compagno morto in Gabon ho sentito una frase che mi è rimasta dentro: non lo stiamo seppellendo, lo stiamo piantando.
Piantare è spendere fiducia per il futuro.
I care/mi sta a cuore.
Angelo Cupini

Condividi l'Articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *