• 14 May 2024
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Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? (Chi è stato il primo a produrre le orribili armi?) L’interrogativo bimillenario posto da Tibullo nella sua più famosa elegìa è ancora attualissimo e risuona ambiguamente ubiquo, senza una risposta credibile, soprattutto in questi giorni di lacrimoso autunno. La Storia (quella con la S maiuscola) sembra proprio non aver insegnato niente a nessuno. Altro che “maestra di vita”. Da più di tre settimane è in atto una vera e propria guerra fra Israele e Hamas, con la consueta sproporzione di mezzi e vittime: 1400 (o forse più) in quota israeliana; quasi 8000 (ma la stima è per difetto) nella Striscia di Gaza. Con l’inevitabile seguito di rappresaglie e contro-rappresaglie. Hamas lancia 2000 missili sulla Stella di David provocando una carneficina e sequestrando centinaia di ostaggi civili? Allora Netanyahu risponde per le rime bombardando ospedali, condomini, scuole, edifici religiosi nei territori della Striscia quintuplicando le cifre delle perdite subite. Immediatamente Hamas annuncia l’intenzione di uccidere gli ostaggi se le operazioni militari israeliane non cesseranno…

Gli ayatollah rintanati a Teheran, per non essere da meno, minacciano gli Usa che inviano portaerei davanti alla Striscia mentre il turco Erdogan non perde l’occasione di ribadire il suo sostegno ad Hamas e i caccia con la stella di David bombardano “postazioni militari” siriane e libanesi. Un sipario lacero contuso si è aperto su un teatro ad alto rischio; una polveriera al cui interno c’è chi si accende una sigaretta dopo l’altra e butta a terra il mozzicone senza spegnerlo. Tutto rientra in una normalità belligerante che da quasi cent’anni serpeggia in Medio oriente. Ho l’ormai consolidata impressione che la ricerca delle “cause prime” di questo canceroso conflitto, l’indicazione delle responsabilità, rappresenti ormai per tutti (filopalestinesi, filoisraeliani, teneri ed imparzialmente equidistanti pacifisti, imperterriti causidici del tempo perduto) un vano esercizio di stile. Scusate, ma l’imprescindibile ricerca delle radici storiche del conflitto israelo palestinese assomiglia molto a quell’altra favola, ve la ricordate? Fedro la iniziava così: Ad rivum eundem lupus e agnus venerunt siti compulsi. (Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, arrivarono al medesimo ruscello). Ecco. La ricerca ossessiva, storicamente definita, scientificamente e pretestuosamente giustificata del colpevole, di chi ha “sparato per primo” è un bisturi privo di punta e di lama. Anche perché c’è sempre un “precedente”, una pistola ancora fumante, una radice storica da indicare, una o più cause logicamente e cronologicamente ben definibili da utilizzare come incipit di ogni analisi, di ogni considerazione, di ogni valutazione o imputazione di responsabilità.

Ma le “ragioni storiche” del conflitto, di tutti i conflitti, compreso quello (ve lo ricordate?) semi dimenticato dai media ma tuttora in corso in Ucraina, sono ormai troppo simili a pretestuose motivazioni di schieramento. Certo ha perfettamente ragione Netanyahu quando afferma che Israele deve tutelare la propria incolumità anche con le armi ”per proteggersi da chi vorrebbe farla scomparire per sempre”. Ma ha ragioni uguali e contrarie anche il presidente dell’Onu quando sostiene l’importanza di “…riconoscere anche che gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”. Allora per procedere a più precise valutazioni occorre risalire a contingenze storiche precedenti: la guerra arabo israeliana (1948); la Shoah (1933 – 1945) con la conseguente migrazione di centinaia di migliaia di ebrei nella “Terra promessa”; il crollo dell’impero ottomano e la dichiarazione di Balfour (1917); la nascita del Sionismo (1880 circa). Per arrivare, fra alti e bassi, fino a Giulio Cesare e alla Diaspora. Questa sorta di back stage storico, come si può facilmente intuire, può non avere mai fine. Ma potrebbe toccare il ridicolo qualora qualcuno tentasse di spiegare e/o giustificare il tragico presente risalendo la corrente della storia fino a 3300 anni fa e appellandosi alla crudeltà del faraone Ramses II (Akhenaton, secondo Eusebio da Cesarea), antisemita della “prima era”, e alla fuga dall’Egitto degli Ebrei guidati da Mosé. In quest’ottica si dovrebbero riaprire contenziosi su scala planetaria riguardanti i confini di decine di Stati, più volte modificati nel corso dei secoli. E l’Italia avrebbe tutto il diritto di pretendere l’annessione dell’intero Maghreb conquistato da Roma dopo la battaglia di Zama.

Dunque? Soluzioni alla questione palestinese ne sono state proposte (anche autorevoli) più di una. Innanzitutto l’idea ”due popoli, due stati” con la creazione di uno Stato Palestinese indipendente e autonomo la cui esistenza metterebbe a tacere ogni possibile rivalità etnica o religiosa che sia. Ma c’è qualcuno non in preda ai fumi dell’alcol in grado di prevedere un futuro di convivenza pacifica fra arabi e israeliani dopo che Netanyahu ha dichiarato che Israele non accetterà mai l’esistenza di uno Stato palestinese? Per buona misura nel testo costitutivo di Hamas risalente ai primi Anni duemila, è scritto a chiare lettere che il movimento ha come obiettivo fondamentale la soppressione dello Stato di Israele. Rapporti di “buon vicinato” apparterrebbero meno alla politica che alla fantasia: il rimedio potrebbe essere peggiore del male. L’altra proposta guarda ad una sorta di cooptazione delle popolazioni della Striscia, e di altri territori adiacenti, all’interno di un unico stato, quello israeliano, nel cui ambito i cittadini di origine palestinese godrebbero degli stessi diritti dei “figli di David”. Una soluzione, come ognuno può vedere, decisamente impraticabile.

Intanto nella striscia di Gaza si continua a morire mentre Israele prepara l’annunciata (troppo annunciata?) offensiva di terra. Aveva probabilmente visto giusto Gramsci quando, cent’anni fa, scriveva che “…non si può mai dire che la soluzione attuale dipenda geneticamente dalle soluzioni passate: la genesi di essa è nella situazione attuale e solo in questa” (A. Gramsci: “Il Risorgimento”. Einaudi, Torino, 1949). Intanto la politica italiana si limita a qualche timido sussurro: dall’equilibrismo astensionista meloniano all’assemblea dell’Onu, al commento della segretaria Pd Schlein che chiede sommessamente una “pausa umanitaria”. Per il momento sarebbe sufficiente, mi pare, che nessuno si esprimesse in termini di “Palestinesi” e “Israeliani” intendendo con ciò le due popolazioni nel loro complesso. Gli israeliani non sono il governo Netanyahu così come la popolazione della Striscia non è Hamas. L’abolizione di queste differenze produce sionismo e antisemitismo, fra le cause preminenti dell’immane tragedia che il Medio Oriente sta vivendo da troppo tempo.

ELIO SPADA

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